Se non l'hai già fatto,

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***

Chiacchierando, venni a sapere numerose cose su di lui: mi disse che era figlio di un pastore protestante ed una donna anch’essa figlia di pastore,mi disse che aveva una sorella e aveva avuto un fratello,poi morto, mi disse anche che era stato all’università e che aveva fatto il militare volontario: tre anni di militare a Küneö, ridente cittadina prussiana.
Stavo per chiedergli se aveva mai mandato una lettera a casa, per lo meno per sapere come stavano non dico i suoi genitori, ma almeno le sue pecore, che chissà da quanto tempo non vedeva, quando mi fece notare che tra i tanti avventori del locale era presente anche un individuo strano,particolare: portava un sacco di piume infisse su un copricapo che gli adornava la testa, e aveva strane brache sfrangiate. Ai piedi calzava mocassini senza galosce.
“Bravo ragazzo”,disse il mio amico,”niente galosce:le odio proprio”.
Guardando meglio, ci accorgemmo che in realtà stava vendendo qualcosa, poiché c’èra un piccolo crocchio di persone radunato intorno a lui.
“Andiamo a vedere cosa vende quel ciarlatano”, proposi io.
Avvicinandoci, sentivamo che contrattava.
“No. Io no meno di 20. Questo padre. Padre di mio padre. Padre padre di mio padre. Vendo solo per 25.”
“Affare fatto, aguzzino”, lo apostrofò uno degli astanti.
“Come ti chiami?”,gli chiesi.
“Toro Piegato”,mi rispose lui.
“Come mai piegato?”
“Tu mai provato esami di professore Grosso? Lui una volta detto: 'Miei esami ti PIEGANO.' . Io giovane, mai creduto lui, così provato dare esame con lui.”
“Ehi, hai sentito?”,dissi io,”questo parla come te il primo giorno che arrivasti in italia!”
Un dito di Nietzsche mi fece segno di continuare con il piumato, ma non fu esattamente l’indice,che vidi.
“Cosa vendi, Toro Piegato?”
“Io vende segreta miscela. Io viene molto lontano.”
“Io superato grande acqua,”continuò l’uomo,”io stufo. Tutti i giorni, tutto giorno, io sta davanti negozio di vendizione tobacco con sigari in mano e sorriso demente in bocca. Io stanco, arrabbiato di tutti che mi ignora, di bambini che mi sputa tra chiappe, di ragazzini che prende in giro perché dice che io guadagna tenendo bei sigaroni in mano.”
Non dev’essere stata una bella vita, in effetti, pensai.
“Così io cambiato. Io preso consigli di padre padre mio padre, coltivato segreto ricetta, e ora io fabbrica cosa. Fabbrica cibo speciale.”
“Che tipo di cibo?”,chiese il mio compare.
“Cibo che fa volare”, disse lui.
Il sorriso di Nietzsche creò una ruota di carro apache sul suo volto.
“Il mio sogno”,mi disse lanciando urletti gioiosi e saltellando in giro tenendomi le mani, “non capisci, posso finalmente realizzare il mio sogno!!”. Era estasiato all’idea.
“E che cos’è? Si beve? Si fuma?”, chiesi a Toro Piegato.
“No bere. No sfumacchia. Tu mangia.”
“Evviva,evviva”,continuava a saltellare Nietzsche,”non devo neppure rischiare di morire di tumore al cervello come mio padre!”.
“E quanto costa?”
“Tu quanto ha?”,mi disse Toro Che Forse Era Piegato Ma Sapeva Ancora Come Piegare Ad Angolo Retto Gli Altri.
“Quanto basta per due razioni”,risposi io. I sapientoni in geometria non mi hanno mai impressionato.
Effettivamente, dalla vendita del cavallo ci restava ancora un discreto gruzzolo, così contrattando accanitamente con Toro Seduto, anziché due lire per due porzioni, riuscii a strappare il prezzo di una lira e mezzo, più una scatoletta di tabacco da annusare ed un buono di novantacinque centesimi per una signora che faceva interessanti trattamenti ai sigaroni.
Toro piegato mi fu molto grato, soprattutto per quest’ultimo, e mi volle spiegare uno dei segreti dei suoi avi.
“Se tu pianta piccola parte di questo”,mi disse porgendomi un minuscolo involucro,”tu tranquillo che mangia quanto vuole e vola anche durante scioperi,questo è semenzatore di cosa che fa volare”.
Ringraziai e, intascato il semenzatore nella sinistra e le due razioni nella destra.
Nietzsche era raggiante. “Il mio sogno finalmente sarà realizzato,non vedo l’ora!”. Un po’ lo invidiavo: avevo il vago sospetto che per vedere finita la mia oceanica abbazia avrei dovuto aspettare più tempo.
Tornammo a casa, e ci rifugiammo nel suo alloggio, per timore di rappresaglie di Fino nei miei confronti dopo la mia performance di quella mattina.
Nietzsche non stava più nella pelle. “Dammi dammi dammi!”,continuava a ripetere come un bambino,”non posso aspettare ancora dai dai dai voglio provare presto!”
“Un momento”, obiettai io, “non è meglio se lo provi prima io? Dopo tutto, tu sei una grandissima persona, e se ti accadesse qualcosa nessuno potrebbe sopportarlo, e tantomeno il babekkaro, che avrebbe perso un nuovo cliente. Io invece sono uno vecchio, e sa già che su di me può contare anche se muoio.”
“Non è sbagliata come osservazione”, si sforzò di ammettere il mio compare,ma i suoi occhi brillavano d’impazienza e tensione. Per un attimo vidi perfettamente la sua mente suggerirgli di correre alla tasca della mia giacca e mangiare quella roba, costasse quel che costasse.
Poi la ragione ebbe la meglio.
“E va bene”, disse,”ma io resto qui. E appena torni, tocca a me!”
Diesegnammo un cerchio enorme per terra per decidere dove saremmo decollati nonché atterrati, e per rendere più precisa la cosa, ci facemmo anche una stella a cinque punte dentro. Io non fui molto d’accordo, perché mi inquietava un po’,ma Nietzsche mi convinse che era pura geometria e che,se proprio non mi sentivo tranquillo, ci avrebbe aggiunto delle candele rosse tutto intorno per segnalarmi meglio dove scendere, anche di notte. Così mi tranquillizzai e, preso uno dei due involti, mi portai al centro.
Aprii l’involto, diedi un ultimo cenno al mio compagno d’avventure, e mangiai tutto.
L’ultima cosa di cui mi accorsi fu che,invece che partire verso l’alto, battei una gran naticata sul pavimento.Poi, il buio.
Poi, lentamente, tutto intorno a me passò dal nero notte al blu, al grigio chiaro, finchè non fu come uscire dalle nuvole.
Vidi sotto di me il mio amico che mi guardava, vidi l’appartamento, la casa, la città, tutto che diventava sempre più piccolo e lontano.
Volai sopra tutte le città conosciute, sopra tutte le abbazie, mi segnai mentalmente che se volevo davvero costruire la mia chiesa dovevo preventivare più pietra di quella che avevo considerato.
Scoprii le colonne d’ercole, le superai,scoprii che nonostante l’america la terra era comunque piatta e sorretta da tre giganti, Atlante, Geografico e DeAgostino.
Vidi le stelle, la terra, il buio delle galassie ed il chiarore delle nebulose, poi tornai e volai così vicino al terreno da scoprire quale dopobarba usavano le formiche.
Dopo un tempo immemorabile, tornai.
Nietzsche era lì,che mi guardava disilluso.
“Non hai volato nemmeno di dieci centimetri”,mi disse,”ma hai fatto delle facce divertenti”.
Quando gli spiegai che in realtà,se il corpo non si era mosso, con l’anima avevo volato sicuramente, e gli narrai ciò che mi era successo, tutto il suo entusiasmo ritornò, perfino rafforzato.
“Voglio assolutamente provare! Voglio andare a vedere se quel cretino di Platone si fa il bidè, dato che dovrebbe essere inutile essendo solo apparenza!”.
Mentre mi riprendevo e mi sedevo vicino alla madia,su di una sedia intrecciata in vimini, Nietzsche prese dalla giacca il secondo involucro. Corse verso il centro del cerchio e lo svolse.
Appena finì di svolgerlo, cacciò un urlo e fece cadere a terra il pacco.
“Che succede?” chiesi, allarmato, saltando in piedi dalla sedia.
“Q-Q-Quella roba..”, disse, puntando il dito verso il pacchetto.
“Quella robe è…è….è…è un F-F-F-FUNGO!!!”, urlò.
“Ah, si, è vero,ecco cos’era quel non so che che mi ricordava il riso!”,dissi io. “Ma qual è il problema?Su avanti, amico mio, vola! VOLA!” , lo incoraggiai.
Lui non si mosse.
“Io odio i f..f..f..funghi”.
Capii immediatamente. I funghi non li aveva mai sopportati, me l’aveva detto anche al babekkér.
Rimase un tempo indefinibile immobile.
Poi,si fece paonazzo, tremò tutto, e cristalline gocce di rabbia presero a sgorgargli dagli occhi e a scendere sulle guance rubizze.
“Non potrò MAI volare”, prese a ripetere,”mai,mai,MAI!”.
Cercai di consolarlo con le parole, con il mio tono di voce, ma fu inutile.
Quando poi mi avvicinai per calmarlo ed almeno accompagnarlo verso una sedia,scoppiò in urla scomposte, si strappò i capelli e fuggì in strada, giù dalle scale.

Da quel giorno, non lo rividi più.
Mi arrivò solo qualche suo biglietto,che riconobbi per la calligrafia, in cui vaneggiava di voli petanti, cavalli che diventano generali, mondi trasfigurati e qualche assurda anticipazione su un tizio coi baffetti capo del mondo e un altro a forma di nano capo d’italia.
Si firmava con nomi quali “il crocifisso”,”l’anticristo”, “il Cavaliere”. Quest’ultimo mi parve particolarmente ridicolo.
Quanto a me, alla fine, la mia vita effettivamente cambiò.
Grazie al semenzatore, riuscii a riprodurre i funghi, cominciai a venderli e rapidamente fui prima in grado di pagare Fino ogni mese, poi di pagare l’intero condominio, e infine di pagare Fino per pulire l’ingresso dalle cacche dei cavalli.
Anche Fino,suo malgrado, divenne famoso, perché la sua mania di nascondere le cacche di cavallo sotto monticcioli di neve per far sembrare il lavoro già svolto, rese possibile la creazione di quella fanghiglia orrida per cui Torino divenne famosa in tutta Italia: la cosiddetta Pauta.

FINE


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